Maurizio Mochetti, mostra all’Ariete, 1969

Presentazione TT (1969). Sono presentate a Milano tre nuove opere del romano Maurizio Mochetti che si aggiungono alle due esposte lo novembre scorso alla Salita di Roma, nella personale che ha rivelato il suo nuovo lavoro e imposto subito una presenza inconfondibile. Risale al ‘65 la prima intuizione che ha maturato l’attuale lavoro: al progetto di presentare un raggio di sole in un ambiente oscuro […] Le difficoltà incontrate da Mochetti non riguardano mai la progettazione o la realizzazione, ma piuttosto la comunicazione. I suoi lavori si negano generalmente a ogni forma di comunicazione che non sia la loro diretta esperienza; non solo perchè difficilmente fotografabili – talora a causa dei loro micro-movimenti – ma anche perché si presentano come pura informazione. Mochetti sta lavorando a progetti futuribili perché non è stata ancora perfezionata la tecnologia a loro necessaria. Per lui accade quel che sta succedendo alle esperienze comportamentali di azione o di concetto, in apparenza opposte alle sue che sono così costruttive: si tratta di lavorare sul controllo dell’informazione. Questa inclinazione cibernetica pare identificarsi con il controllo artistico. […]Mochetti calcola di volta in volta esperienze sensoriali oltre che mentali in base a meccanismi di azione-reazione, a un feedback sia psicologico che fisico, derivato dagli strumenti in gioco. Niente qui si amplifica, nessuna ridondanza o ambiguità; non c’è neppure inversione di segno entropico. Continuità e ripetizione ribadiscono la circolarità di operazioni visibili o udibili affidate, o meglio ricavate, come appunto nel pensiero circolare, dalla trama di relazioni e di effetti. In ciò Mochetti è vicino tanto ai cinetici quanto ai concettuali che puntano a un’espressione ermetica o altamente singolare. Anche qui rarefazione, sospetto e paradosso per situazioni sospese. Un costrutto ottico si eclissa scompare con lo spegnere la luce, un effetto sonoro cade con il passaggio interferente dello spettatore, le relazioni spaziali si annullano con l’arresto di un movimento. Sono eventi topologici in strutturazioni non più statiche, eventi che coinvolgono soprattutto le molle dell’intuizione. Privo della retorica tecnologica, il lavoro di Mochetti evita pure il costituirsi delle tecniche e dei materiali usati in imagerie; dunque, in formalismo. Qui la luce è accadimento, la geometria accadimento; il movimento è percorso, lo spazio itinerario. Il cinetismo è scontato. I suoi micromotori da satellite artificiale, Mochetti li aziona al chiuso,  fuori scena, come strumenti non teatrali, fondamentali al pari di un punto d’appoggio, della leva di Archimede. […]Constato che l’opera del giovane artista romano non si lascia facilmente incasellare, a parte un accostamento molto generico agli stili già costruttivisti, né si mette in scena platealmente con atti  rivoluzionari o gesti falsamente evolutivi.  E’ nelle pieghe del pensiero analitico e di posizioni discriminanti sempre più attive anche in Occidente, che Mochetti situa il rivelamento estetico: provocando per esempio visioni dualistiche di luce/ombra, di vuoto/pieno, di trasparente/opaco, di presenza/assenza. «Quando abbiamo comprese le condizioni e il processo che portano a queste composizioni», ha scritto Marisa Volpi, «rimaniamo incastrati in una direzione di pensiero chiusa in sé (che non conduce in alcun luogo)». Sintetizzante e circolare, questa direzione è perlomeno insolita e costituisce fin d’ora un avvio notevolissimo. [Galleria dell’Ariete, Milano aprile 1969]
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