Renata Rampazzi, Pitture 1991

“Luci muschiate, dov’è l’anima, dove la carne”, testo TT (1991). La pittura di Renata Rampazzi inscena non solo lo sguardo ma anche il respiro. Sono queste le due vie in cui manifesta la presenza del corpo e quella dell’anima, secondo un simbolismo primario che travalica l’arte. Essa apre lo scenario di un’immaginazione attiva. E questa ci rimanda all’animazione della vita che si apre e si chiude col respiro, veicolo ancestrale dell’anima, sia che inspiri sia che espiri. E ci ricorda che gli stimoli ottici attivati dal sopravvenire di una figura instaurano l’inizio di ogni relazione carnale, a cominciare dal distacco del corpo materno che ci introduce, ansiosi, al mondo delle figure. In questi quadri è visibile un soffio. Che straordinaria ricchezza ottenuta con minimi mezzi. Benché discenda dall’Espressionismo astratto per la sua informe volumetria cromatica e qualche residuo di gestualità, l’arte della Rampazzi consiste di una pittura meditata, dunque mentale, che vive quasi solo di luminosità, di luci muschiate. Benché spettacolare come molto del Neobarocco attuale, la sua scena è costruita da un solo movimento essenziale: quello della materia che ingenera nuova materia. La sua astrazione organica pare inattuale, considerando l’eclissi che tale linguaggio ha attraversato negli ultimi anni, anche rispetto alle forme geometriche e alla voga delle strutture primarie. E’ rinata, per contro, nell’ampio recupero attuale della pittura astratta. Cui Rampazzi restituisce energiche immagini corporali, nelle quali soffiano sensualità e spirito severo. […]

 

Nell’arte della Rampazzi – dove tutto è in moto e sommuove – la bellezza è un appuntamento  per intrecciare, tra noi e lei, immagini  consensuali che mirano al piacere e all’erotismo. Nel suo scenario aniconico privo di immagini fisse assistiamo a una cerimonia nell’aria, una inversione di segni: qui, la carne è il linguaggio, e l’anima è la materia. […]  Non è un residuo di Action painting, basata sull’esterna gestualità del pittore, che vediamo agire nelle forme organiche della Rampazzi, assimilabili a quelle del corpo o dei liquidi; bensì una plasticità endogena, un principio di mobilità interna, gassosa. In queste masse volventi percepiamo energie gravide di imminenti sviluppi e trasformazioni. […] Rampazzi proietta il cerimoniale arioso dei suoi movimenti sull’attuale scena artistica che, a parere di molti, sarebbe sclerotica, per non dire a pezzi. Lei no, lei oppone la dinamica delle sue evoluzioni all’odierna bassa pressione di un’arte che non si rinnova,. Non saprei dire se sia più meritevole perché si scontra con le mode antipittoriche, la loro esteriorità cerebrale, o perché sa restare fedele a se stessa, all’evolversi delle sue emozioni interiori. Considero ammirevole la costanza con cui Renata Rampazzi professa quotidianamente il suo mestiere di pittore, ora solenne ora nervoso, al centro di ambienti influenti a Roma dove lavora, a Parigi dove espone. […]

 

E’ una artista che simboleggia il dipingere in quanto atto evolutivo coi sensi del meraviglioso, del morbido, nella sua assemblea di forme, in questa cerimonia di luci e ombre dialoganti nell’aria. Plasticità di riunirsi e di unirsi tra la figurazione e l’astrazione. Consapevolezza generalizzata che l’arte è cosa concettuale, comunque la si affronti. La materialità del dipingere della Rampazzi è la sua vera anima. Sta in questa pregnante coalescenza di energie mai vista altrove, mai ripetibile in modo identico neppure per mano dell’artista. Sono queste forme che vediamo per la prima volta, la sua identità profonda. Lì, dove scaturisce l’animazione di questa pittura. Qui l’immaginario di Renata Rampazzi tocca il suo inconscio. L’anima risiede nella sua animazione figurale. Che figura è? E’ una forma  di vita latente, direi. Un’esistenza fantasmata, ancora sospesa tra il gravitare e l’ascendere. Ma già occupa tutto il campo tra la terra e il cielo e i loro quattro elementi simbolici. [Catalogo, dicembre 1991]

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